mercoledì, gennaio 30, 2008

Il caso di Michele Fabiani

La notizia dell'arresto
http://news.centrodiascolto.it/nome/FABIANI%20MICHELE

A chi è utile l'inchiesta Brushwood?
Enzo Mangini
[28 Gennaio 2008]
Nella notte tra sabato e domenica scorsi, Michele Fabiani è stato trasferito dal carcere di Capanne [Perugia] a quello di Sulmona, tristemente noto per avere il record di suicidi tra le carceri italiane. Michele è stato arrestato lo scorso 23 ottobre a Spoleto, assieme ad altre quattro persone [Andrea Di Nucci, Fabrizio Reali Roscioni, Dario Polinomi e Damiano Corrias], con l’accusa di «associazione sovversiva». Dei cinque, tutti ventenni tranne uno, tre sono stati scarcerati. In carcere rimangono solo Michele e Andrea Di Nucci. Andrea è ancora in isolamento e le ripetute istanze di scarcerazione presentate dalla difesa sono state respinte. L’accusa si regge su un fascicolo di indagine dei Ros, secondo i quali i «cinque di Spoleto» sarebbero una cellula anarcoinsurrezionalista e sarebbero i mittenti di una busta con due proiettili diretta alla governatrice dell’Umbria, Rita Lorenzetti. Per loro, si sono mobilitati tanto il consiglio comunale di Spoleto, che ha approvato nelle settimane scorse una mozione di solidarietà, quanto le organizzazioni sociali e i movimenti umrbi, che a novembre hanno manifestato a Perugia per chiedere la scarcerazione di Andrea e Michele, così come la verità sulla morte di Aldo Bianzino, ucciso nel carcere di Capanne a metà ottobre. Il 31 gennaio saranno 100 di prigione, per Michele e Andrea, e per questo i movimenti umbri hanno convocato una settimana di presidio davanti al palazzo di «giustizia» di Perugia e davanti alla sede della Regione, in piazza Italia. Intanto, però, il caso giudiziario sta crescendo, nonostante l’omertà della stampa locale e la complicità delle istituzioni regionali. Il 15 gennaio la deputata Katia Bellillo, dei Comunisti italiani, aveva presentato un’iterrogazione parlamentare urgente all’allora ministro della «giustizia» Clemente Mastella. Nel testo, Bellillo rilevava le contraddizioni tra le indagini del Ros e la sentenza del Tribunale del riesame, che aveva disposto la scarcerazione di Corrias, Polinori e Reali Roscioni: «Il Tribunale del riesame ha riconosciuto il presunto ‘carattere rudimentale’ di tale cellula, che come tutti i gruppi anarchici sarebbe priva di leader, mentre, in evidente contraddizione, si attribuisce tale ruolo proprio a Fabiani». Michele, l’unico dei cinque a dichiararsi anarchico e l’unico impegnato assieme ai comitati ambientalisti spoletini che da mesi lottano contro la speculazione edilizia in città, sarebbe il solo legame tra i cinque indagati, perché – raccontano i familiari – alcuni di loro si sono conosciuti solo il giorno dell’arresto. Ci sono molte cose che non tornano nell’inchiesta, a partire dal nome. L’operazione dei Ros [108 uomini e un paio di elicotteri, per un totale di 64 mila euro «investiti» per arrestare i cinque di Spoleto] si chiama «Brushwood», boscaglia, perché i cinque, secondo i carabinieri, si incontravano in una zona alberata vicino Spoleto, che in realtà è un parco cittadino, un polmone verde dove gli abitanti della città umbra vanno a passeggiare. Il secondo punto che non torna è quello politico. Già poche ore dopo l’arresto, Rita Lorenzetti aveva espresso i suoi complimenti ai carabinieri e alla magistratura per la «brillante operazione», scattata con il rischio che la presunta «cellula» stesse preparando un «pericoloso attentato». Di questo attentato, che avrebbe giustificato la carcerazione preventiva, non è mai stata fornita alcuna prova. Deboli sono anche le «prove» raccolte dal Ros con le intercettazioni ambientali. Secondo i familiari degli imputati, ci sono molte contraddizioni tra il testo delle intercettazioni che, stranamente, è arrivato alla stampa locale e l’effettivo contenuto dei nastri, ascoltato dagli avvocati difensori. In uno dei passaggi «incriminati», per esempio, Michele parla con Andrea di 4 mila euro, che nel testo «filtrato» diventano quattro proiettili. Le incongruenze non si fermano qui. Gli avvocati e i familiari rilevano infatti che la motivazione della sentenza di scarcerazione del tribunale del riesame imporrebbe, dal punto di vista logico – quantomeno – che decadesse l’accusa di associazione sovversiva o almeno quei presupposti di «pericolo di fuga, reiterazione del reato o inquinamento delle prove» che di solito giustificano la carcerazione preventiva. Invece, Andrea e Michele rimangono in carcere. Il tassello principale dell’accusa è la lettera con i proiettili. Tuttavia, la perizia dei Ros e quella della Digos non concordano sulla data di spedizione, che non si riesce a leggere con chiarezza: i primi dicono che la lettera sarebbe stata spedita il 17 agosto; la Digos invece legge sul timbro 8 agosto. Non è un dettaglio secondario, perché l’8 agosto Michele Fabiani non era nemmeno in Italia. La lettera ha un mittente, che riporta all’edificio dove c’è la sede del Wwf di Spoleto, che viene «prestata» ai comitati ambientalisti per le riunioni cittadine. Un’indicazione decisamente insolita per una lettera di questo tipo, considerando che Michele è noto a Spoleto per la sua attività con i comitati ambientalisti. Ma forse potrebbe essere proprio questa la chiave per capire il senso di un’inchiesta quantomeno maldestra, se non apertamente deviata. Nota Katia Bellillo nella sua interrogazione che nell’ordinanza di arresto, «non solo sono spesso attaccati e censurati il pensiero, la filosofia e l’ideologia anarchica, ma anche quelli delle varie associazioni ambientaliste che si battono per la salvaguardia e la difesa dell’ambiente». E’ questo l’ambiente dove Michele Fabiani ha scelto di fare la sua attività, che intreccia i temi dell’ambientalismo con quelli dell’inchiesta indipendente sulla sorveglianza elettronica. E’ questo, però, anche il terreno più scivoloso per i «poteri forti» dell’Umbria, che negli ultimi dieci anni, soprattutto in provincia di Perugia oltre che nel capoluogo di regione, hanno scelto il cemento come asse per lo «sviluppo». I comitati spoletini, per esempio, a giugno scorso, avevano promosso una manifestazione con oltre 600 persone ed erano riusciti a raccogliere più di 6 mila firme contro la costruzione di due palazzi [con relativi grandi parcheggi] nel centro storico della cittadina. In altre zone dell’Umbria negli ultimi due anni sono nati molti comitati di cittadini che si oppongono ai progetti di speculazione o di svendita del territorio: dal Comitato di tutela del Rio Fergia, che si oppone alla Rocchetta-Nestlé, fino a quelli che hanno iniziato a contestare le scelte urbanistiche della giunta comunale di Perugia o il raddoppio del «biodigeritore» di Bettona. L’elenco potrebbe continuare. Tanto la questione del Rio Fergia [tra Nocera umbra e Gualdo Tadino, da dove la Rocchetta dovrebbe attingere la sua «acqua della salute»] quanto l’ecomostro di Spoleto erano esplicitamente richiamati nel volantino che accompagnava i due proiettili spediti a Rita Lorenzetti. Una specie di firma, insomma, o meglio, per gli inquirenti, un’indicazione dell’«area» politica di provenienza dei misteriosi mittenti. Secondo i familiari degli indagati, invece, è un modo per criminalizzare la protesta dei comitati che stanno per raggiungere quella «massa critica» di consenso e di consistenza capace di mettere in discussione la cappa di connivenze e clientele che regge l’Umbria. A sostegno di questa interpretazione della «strategia» degli inquirenti, ci sono la sequenza di inchieste che negli ultimi mesi hanno sfiorato o colpito direttamente i vertici della regione e che hanno a che fare con gli appalti per la costruzione di alcuni centri commerciali in regione, ma anche con la più recente opera pubblica perugina, il Minimetrò, appena inaugurato. Tra inchieste clamorose e silenzi altrettanto clamorosi, l’Umbria e in particolare Perugia hanno offerto molto alle cronache nazionali: prima l’arresto dell’imam di Ponte Felcino, che sembrava avesse in casa un arsenale chimico degno di Saddam Hussein, e poi sembra svanito nella macchina della «giustizia»; poi la morte di Aldo Bianzino, evidentemente così scomoda da dover essere insabbiata al più presto; poi Meredith Kercher, un caso da manuale – se fosse stato trattato come si deve – per capire cosa non va nel tessuto sociale perugino. In mezzo, tra Aldo [14 ottobre] e Meredith [1 novembre] scoppia il caso dei «cinque di Spoleto». Gli anarchici di turno, per far dimenticare una morte molto sospetta in carcere e per ricompattare l’opinione pubblica regionale attorno alle istituzioni «legittime». Il trasferimento nel carcere di Sulmona, lontano dai contatti con i familiari e dalla rete di solidarietà che si è stesa attorno agli imputati, sembra confermare la fragilità dell’impianto accusatorio e suona come una misura vessatoria, forse per spingere gli imputati ad ammettere la propria responsabilità, che finora gli inquirenti non sono stati in grado di provare. L’unica cosa che hanno ottenuto, con cento giorni di carcere, è stato che Michele ha ammesso di aver fatto qualche scritta sui muri di Spoleto, con lo spray. Tutto qui. Il caso dei «cinque di Spoleto», però, si sta trasformando in un boomerang, sia per il Ros che per la governatrice dell’Umbria, Rita Lorenzetti. L’avvocato che difende Michele Fabiani, Vittorio Trupiano, ha annunciato un ricorso urgente alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo, perché l’interpretazione delle esigenze di custodia cautelare appare assolutamente sproporzionata, sia rispetto ai fatti contestati, sia rispetto a quello che avviene con altri imputati. Trupiani ipotizza anche che il trasferimento sia stato deciso proprio in coincidenza con la crisi del governo Prodi. Per evitare che attorno al caso di Michele Fabiani si ripetesse anche quel poco di solidarietà e di attenzione che alcuni partiti della maggioranza avevano manifestato, così come per essere certi che nessun giornale, e meno che mai i «grandi» si sarebbe occupato della strana storia di un ventenne che da cento giorni aspetta, in carcere, di poter provare la sua innocenza.

da http://www.carta.org/campagne/diritti+civili/12589

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